Questa
rubrica dovrebbe raccontare momenti ameni e goliardici della vita di
un cane compatto goffo, bizzarro, testardo e guerrafondaio, ma
fedele, affettuoso, capace di andare in brodo di giuggiole per una
carezza, un biscottino, una tenerezza, un sonnellino accanto al
padrone che con una mano scrive e con l’altra gli gratta la
schiena. Piccoli gesti che per gli umani sono il minimo sindacale di
un rapporto, ma che per me e per i colleghi pelosi sono quintessenza
della felicità.
Purtroppo,
la vita non è solo rose e biscotti. Può capitare di vivere periodi
di grave turbamento. La mia settimana, ad esempio, è stata
tempestata di traversie, ire, smacchi, tiri mancini che mi hanno
fatto passare la voglia di narrare storie lunghe, edificanti, ricche
di figure retoriche e parole ricercate sul vocabolario. Mi limiterò,
quindi, a una fredda cronaca degli eventi. Wof
DOMENICA
– IL PRANZO DEL BUROCRATE: in Molise, il pranzo delle domeniche
d’inverno segue il medesimo e pantagruelico canovaccio da millenni.
E’ talmente pesante e tradizionale, figlio com'è di una cultura
contadina ancora imperante, specie nei piccoli borghi, da far
rabbrividire i vegani, che si vedono costretti a chiamare Don Diego
della Vegan, in arte Zorron, per ristabilire l'ordinen. Consta di: un
primo di cavatelli o pasta al forno, con condimento di ragù di
salsicce; mix di carni estratte dal sugo, per secondo; contorno di
patate e peperoni; assaggio di pizza coi cicoli; frutta te la mangi
tu; zeppole fritte, come dolce. Queste ultime sono un must della
festività di San Giuseppe (19 marzo), ma le mettono in vendita
quando ancora è aperto
l’outlet del pandoro e del panettone. Mi
sono azzardato a domandare un assaggino. Non so precisamente cosa ho
ottenuto, di nascosto dal padrone. So solo che ho dormito il sonno
della beatitudine per due ore e, nel mentre, mi sono leccato pure i
baffi. Alle ore 15:30, ho riaperto gli occhi. Al di là delle
finestre, il sole aveva una tonalità di giallo molto opaco,
oppresso com’era dall’avanzata inesorabile di un fronte compatto
di cumulonembi. Ho avanzato istanza di uscita. Ho
woooooooooooooooffato una, due, tre volte. Invano. Ho piagnucolato.
L’unico riscontro che ho avuto è stato “Aspetta”. Ho
reclamato. Inutilmente. “Aspetta”. C’era la partita della
Juventus. Passavo in secondo piano. Povero me. Solo alle 16:45,
triplice fischio, sono stato accontentato. Fuori, purtroppo, si era
scatenato un fortunale. A me non dispiaceva. Al padrone sì, invece.
Come un burocrate delle passeggiate, ho fatto i bisogni, odorato per
sommi capi e sono rincasato. La sera ho dormito di un sonno leggero.
Mi devo stancare, per ronfare e russare come un trapano.
LUNEDI’
– MANNAGGIA IL DIAVOLETTO CHE CI HA FATTO LITIGARE erano
le 19. Avevo una notevole stanchezza addosso, dopo ore di giochi di
palla, perlustrazioni del territorio, bagnetti in una pozzanghera.
Non mi importava. Ero troppo carico. Volevo continuare a fare
bisbocce. Mentre minacciavo un riccio di peluche, ho udito un clacson
familiare. Erano signori i genitori, di ritorno dal natio borgo. Ho
cominciato a wooooooooffare e a correre attorno al tavolo. Fino a che
il padrone non ha aperto l’uscio. Mi sono messo in piedi
all’imbocco delle scale. Anche se mi piacerebbe tanto andare
incontro a chiunque giunga, so che lì devo arrestarmi: dopo due
rampe, c’è l’uscita, che dà su un amplio cortile, aperto al
passaggio delle autovetture. Io ogni tanto ci provo, eh, lo ammetto,
a scendere. Un “NO” secco e deciso mi blocca. Intendiamoci, non
obbedisco perché sono alla mercé del padrone. Che credibilità può
avere uno che in due anni è riuscito a insegnarmi solo “seduto”,
“fermo”, “vieni”? Lo faccio per quieto vivere. Ma lunedì
l’anarchia ha vinto sulle regole. Insubordinazione. Sono sceso a
perdizampa e ha inseguito la macchina di Signor il papà fino al
parcheggio. Il padrone mi è venuto dietro urlando frasi senza senso
compiuto e brandendo minacce ferali. Con lui, anche due portacanessi
di passaggio. Una sceneggiata che nemmeno Mario Merola e la
Tamurriata nera messe insieme.
L'inseguimento è terminato mentre i
nonni facevano feste al loro nipotino peloso e io gli occhi a
cuoricino davanti alla spesa di formaggi che avevano fatto. Mi sono
beccato il seguente presentatarm: “hops ijayo wakati unaweza
smash uso wako na kuona kama unaweza kwenda kutembea tena. scoundrel,
strunz, bastard, farabutt”. E se non conoscete lo swahili non è un
problema mio. Studiate, gentili lettori. Sono scappato nella cuccia
di emergenza, gli occhioni sgranati dal dispiacere. Solo dopo cena,
il padrone ha provato la via della pace, offrendo biscottini e
stimolando al gioco. Io ho risposto picche, anche quando sono stato
preso in braccio e sottoposto all’obbligo delle carezze. Napoleone
poteva dire “io la pace non la chiedo. La impongo”. Non quel
gaglioffo.
MARTEDI’
– PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA MEDIASET PREMIUM: 8
marzo, festa della donna. Sono uscito quasi all’alba, alle
8:30, a comprare le mimose. L’onore di consegnarle è toccato a me.
All’uopo, poco prima che rientrassi, Signor il papà ha
infilato il
gambo del fiore all’interno del collare. Grande è stata la
sorpresa della sua dolce metà alla vista di un peloso paggetto, un
peloggetto. A titolo di ringraziamento, signora la mamma mi ha
offerto il più gustoso dei biscottini. Il padrone, invece, si è
solo preoccupato di immortalarmi. Dannata civiltà della condivisione
e dei social network. A sera, avevo intenzione di celebrare
degnamente Lucy, la mia fidanzata senza portafogli. Uscito, mi sono
subito diretto sotto al suo portone. Non c’era. Ho sbirciato tra le
persiane di casa sua. Una Tv era accesa. Degli uomini in mutandoni
bianchi e blusa giallorossa stavano arando un prato verde. Ho capito
che non avrei mai incontrato l’eterea bellezza: giocava la Roma,
squadra di cui il di lei padrone è tifosissimo. Prima di andare via,
non ho pensato di dedicare alla desaparecida senza colpa una canzone
dei Beatles. Sono stato scortese. Lo ammetto. Avrebbe fatto così:
“Luccccy SU SKY with diamonds”. Ah no, la Champions League la fa
Mediaset Premium.
MERCOLEDI’:
TAFFERUGLI!!!!! Dall’autunno, è venuto ad abitare, proprio
sopra di me, un briccone, un mascalzone, un lestofante e chi più
aggettivi ne ha più ne metta. Risponde al nome di Dibby. E’ un
Border Collie di circa un anno ed è un villano come pochi.
Credetemi, il ticchettio frenetico dei suoi passi che, dall’alto,
scende fino a casa, mi mette più angoscia delle vecchiette del Sud
che cantano “O fieriiiii flagelli” durante la processione del
Venerdì Santo. Si tagliasse le unghie, per Zanna bianca. Questo
sedicente pastore piace anche ai miei famigliari. Non capisco perché.
Ogniqualvolta lo incontrano, lo riempiono di carezze. Lui si mette a
pancia all’aria per riceverle, io mi urto. Prima abbaio, poi
addirittura salto addosso ai festanti e intimo loro di smetterla di
dare attenzioni a quel baffone di corte. Fino a mercoledì, però, la
tensione non era mai sfociata in situazioni veramente perniciose.
Vigeva una sorta di tregua
armata, una neutralità sotto la cui
cenere covava il fuoco dell’odio, una poderosa miccia che anche un
fiammifero sarebbe stato in grado di accendere. E, infatti, in un
pomeriggio che si stava trascinando nell’anonimato, è successo
l’irreparabile. La porta d’ingresso di casa era rimasta aperta.
Il provocatore, trovatosi a passare, se n’è accorto. E che ha
fatto? Come si evince dalla foto che prego Tiziana di allegare, è
entrato, ha invaso il mio territorio, mi è pure saltato addosso per
fingere amicizia. Non ci ho visto più. L’ho sistemato a dovere,
con un bel morso sul naso. Un colpo secco, chirurgico, che lo ha
fatto piagnucolare. Se non fossero intervenuti i padroni, gli avrei
fatto una allisciata di pelo che nemmeno la più abile delle
tolettatrici sarebbe stata in grado di fare. Risolta la pratica
condominiale, ora devo cantargliene quattro anche al pastore della
Brie che vive difronte. Già l’ho minacciato una volta. Da allora,
il padrone cambia strada quando lo vede. Chissà perché. Pesa solo
52 kg al garrese ed è alto 60 cm al peso.
GIOVEDI’-
E’ SEMPRE CARNEVALE: la fama porta pubblicità. Sono stato
scelto, mio malgrado, come testimonial di una bottega della città
che fa cappelli per cani. Ah roba da matti. Che vergogna. Un
fiero e austero pastore trattato alla stregua di un chiwawa tutto
lustrini, cappottini e pailettes. Poco fa, sono andato a prendere le
misure del primo copricapo. Bravi sarti, dietro fornitura di
biscotti, hanno registrato il perimetro del volto, il diametro del
cranio, la base delle orecchie. Se avessero pure calcolato l’altezza
di quest’ultime, base per altezza, prodotto diviso due e sarebbe
uscita l’area delle orecchie. Ma siccome sono a dir poco geloso dei
miei padiglioni auricolari, quando il misuratore li ha sfiorati, ho
urlato come Maria Callas nella Lucia di Lammenor e l’unico dato
disponibile lo hanno registrato i sismografi. Si andrà, dunque, a
occhio. Ho anche misurato un cappello già confezionato. Era a
fasce di colori bianco e nero. Parevo una novantenne di paese. Oh che
vergogna. Se quella era una prova, figuriamoci il prodotto
definitivo. Ma oggi non mi turba più di tanto la questione. Il
dramma in pectore è un altro. Ho, infatti, intercettato una
telefonata del padrone che mi riguardava. Ha prenotato la
tolettatrice per sabato mattina. Ha paura che la settimana
finirà come già era cominciata. E il raccontar non m’è
dolce in questo mare.
Carmine
Tedeschi
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