lunedì 14 marzo 2016

Diario di una CORGImamma

Questi primi giorni da neomamma sono volati e allo stesso tempo sono durati un’eternità. Tutto quello che mi circonda, proprio tutto, viene scandito dagli orari dei miei sette piccoli: ora si mangia, ora si dorme, ora delle pulizie, ora si dorme, ora si dorme ancora, ora si mangia per poi tornare a dormire di nuovo…
 
Ho quindi avuto modo di riposarmi molto e in totale tranquillità, pace assoluta tutta per noi. La mamma è molto premurosa, ha spiegato alle bimbe che i miei cuccioli sono ancora troppo piccoli perché possano maneggiarli da sole, per cui quando vengono a trovarci nella cuccia, sotto ai nostri sguardi di mamme, si siedono sulla coperta a guardarli e a sorridere; ogni tanto provano ad allungare le manine e arrivano ad accarezzarne uno “solo con un dito mamma!” e si legge loro in faccia l’enorme emozione che provano… sono meravigliosi tutti e nove!
 

La mattina del 24 febbraio, la prima mattina dei miei cuccioli, mamma che ha passato la notte sul divano vicino a me per controllare che tutto andasse bene e papà che per una notte ha fatto il mammo si sono divertiti un mondo quando è stato il momento di svegliare Lia, la bimba più grande e mia compagna di crescita, quattro anni di energia allo stato puro che già da ora sa di voler diventare “dottoressa degli animali” e puntualmente visita me, gli altri quadrupedi di casa e visto che c’è da una controllatina anche alla sorellina…
 

Insomma quella mattina si è svegliata, capelli ultra spettinati, occhi socchiusi ancora colmi di sonno, va in bagno accompagnata dal papà che si sta preparando per uscire e andare al lavoro, sul più bello che inizia a calare i pantaloni ha un flash, si risistema velocemente, sgrana gli occhi e corre in soggiorno “Papà! Devo andare a vedere se i cuccioli sono cresciuti!” e arriva al galoppo fino alla cassaparto.
 
I cuccioli ovviamente non erano cresciuto ma non ho visto nemmeno un alone di delusione quando la sua criniera ha fatto capolino da sopra le assi di legno. Ha detto “Ooooohhhhh” lasciando esplodere poi un gran sorriso.
E’ passata la prima settimana, la prima settimana di vita dei cuccioli miei e del mio amato Ribot, sono orgogliosissima del mio lavoro, si sono trasformati in bamboloni con coda e orecchie, sono bravi, non piangono mai, mangiano e dormono, iniziano a trascinarsi con le zampette anteriori finendo inevitabilmente con il rovesciarsi se per caso decide di tentare una collaborazione anche una delle zampette posteriori.
Adesso i cuccioli hanno tutti un nome ed è toccato a Lia l’arduo compito  di assegnarli con l’aiuto di anita che dopo aver sentito le prime proposte “Idi, Udu, Idin” l’ha dirottata verso i nomi dei personaggi dei cartoni che vede in questo periodo.
Abbiamo quindi i personaggi di Rapunzel per due maschietti, Flynn Rider che è il primo nato e Pascal l’ultimo biondino, Olaf che sarebbe il pupazzo di candida neve bianca del film Frozen è stato ovviamente assegnato al nerissimo settimo nato. Eep è la prima femmina omonima della protagonista del film “I Croods” (che piace tanto anche a mamma e papà nonostante sia stato trasmesso in questo salotto ALMENO 200 volte nell’ultimo anno), Arlo maschietto di metà cucciolata con il nome di un dinosauro fifone che vive una grande avventura in compagnia di un bimbo-cane,
Merida del cartone Disney Ribelle la seconda femminuccia che forse resterà in famiglia e infine Bolt perché almeno uno doveva chiamarsi con il nome di un cane e Bolt non è un cane qualsiasi è un super cane!
I cuccioli hanno già compiuto due settimane, finalmente hanno aperto gli occhi, iniziano i primi goffi tentativi di camminata e fanno ridere tutti quando azzardano i primi vocalizzi da grandi, o come dice cane Luppolo, le prime wooooooooffate, ci mettono talmente tanto impegno nel farlo che parte l’effetto rinculo e finiscono chi a pancia all’aria e chi con il sedere a terra rimanendo sconcertato a riflettere su cosa è appena successo.
Le bimbe ora hanno il permesso di accarezzarli quando vengono a trovarci in cuccia e i piccoli sono svegli e vengono letteralmente sommerse per i pochi minuti di attività dei bomboloni che alla fine stremati si addormentano tutti in mucchio oppure a formare un tappeto bello imbottito tra le due sorelline umane incantate…
Ancora un po’ e ci sarà da ridere…

Anita Todesco


venerdì 11 marzo 2016

"LA SETTIMANA INCORG" - Glaciale cronaca di una settimana di passione.

Questa rubrica dovrebbe raccontare momenti ameni e goliardici della vita di un cane compatto goffo, bizzarro, testardo e guerrafondaio, ma fedele, affettuoso, capace di andare in brodo di giuggiole per una carezza, un biscottino, una tenerezza, un sonnellino accanto al padrone che con una mano scrive e con l’altra gli gratta la schiena. Piccoli gesti che per gli umani sono il minimo sindacale di un rapporto, ma che per me e per i colleghi pelosi sono quintessenza della felicità. 
Purtroppo, la vita non è solo rose e biscotti. Può capitare di vivere periodi di grave turbamento. La mia settimana, ad esempio, è stata tempestata di traversie, ire, smacchi, tiri mancini che mi hanno fatto passare la voglia di narrare storie lunghe, edificanti, ricche di figure retoriche e parole ricercate sul vocabolario. Mi limiterò, quindi, a una fredda cronaca degli eventi. Wof  

DOMENICA – IL PRANZO DEL BUROCRATE: in Molise, il pranzo delle domeniche d’inverno segue il medesimo e pantagruelico canovaccio da millenni. E’ talmente pesante e tradizionale, figlio com'è di una cultura contadina ancora imperante, specie nei piccoli borghi, da far rabbrividire i vegani, che si vedono costretti a chiamare Don Diego della Vegan, in arte Zorron, per ristabilire l'ordinen. Consta di: un primo di cavatelli o pasta al forno, con condimento di ragù di salsicce; mix di carni estratte dal sugo, per secondo; contorno di patate e peperoni; assaggio di pizza coi cicoli; frutta te la mangi tu; zeppole fritte, come dolce. Queste ultime sono un must della festività di San Giuseppe (19 marzo), ma le mettono in vendita quando ancora è aperto
l’outlet del pandoro e del panettone. Mi sono azzardato a domandare un assaggino. Non so precisamente cosa ho ottenuto, di nascosto dal padrone. So solo che ho dormito il sonno della beatitudine per due ore e, nel mentre, mi sono leccato pure i baffi. Alle ore 15:30, ho riaperto gli occhi. Al di là delle finestre, il sole aveva una tonalità di giallo molto opaco, oppresso com’era dall’avanzata inesorabile di un fronte compatto di cumulonembi. Ho avanzato istanza di uscita. Ho woooooooooooooooffato una, due, tre volte. Invano. Ho piagnucolato. L’unico riscontro che ho avuto è stato “Aspetta”. Ho reclamato. Inutilmente. “Aspetta”. C’era la partita della Juventus. Passavo in secondo piano. Povero me. Solo alle 16:45, triplice fischio, sono stato accontentato. Fuori, purtroppo, si era scatenato un fortunale. A me non dispiaceva. Al padrone sì, invece. Come un burocrate delle passeggiate, ho fatto i bisogni, odorato per sommi capi e sono rincasato. La sera ho dormito di un sonno leggero. Mi devo stancare, per ronfare e russare come un trapano. 
LUNEDI’ – MANNAGGIA IL DIAVOLETTO CHE CI HA FATTO LITIGARE erano le 19. Avevo una notevole stanchezza addosso, dopo ore di giochi di palla, perlustrazioni del territorio, bagnetti in una pozzanghera. Non mi importava. Ero troppo carico. Volevo continuare a fare bisbocce. Mentre minacciavo un riccio di peluche, ho udito un clacson familiare. Erano signori i genitori, di ritorno dal natio borgo. Ho cominciato a wooooooooffare e a correre attorno al tavolo. Fino a che il padrone non ha aperto l’uscio. Mi sono messo in piedi all’imbocco delle scale. Anche se mi piacerebbe tanto andare incontro a chiunque giunga, so che lì devo arrestarmi: dopo due rampe, c’è l’uscita, che dà su un amplio cortile, aperto al passaggio delle autovetture. Io ogni tanto ci provo, eh, lo ammetto, a scendere. Un “NO” secco e deciso mi blocca. Intendiamoci, non obbedisco perché sono alla mercé del padrone. Che credibilità può avere uno che in due anni è riuscito a insegnarmi solo “seduto”, “fermo”, “vieni”? Lo faccio per quieto vivere. Ma lunedì l’anarchia ha vinto sulle regole. Insubordinazione. Sono sceso a perdizampa e ha inseguito la macchina di Signor il papà fino al parcheggio. Il padrone mi è venuto dietro urlando frasi senza senso compiuto e brandendo minacce ferali. Con lui, anche due portacanessi di passaggio. Una sceneggiata che nemmeno Mario Merola e la Tamurriata nera messe insieme.
L'inseguimento è terminato mentre i nonni facevano feste al loro nipotino peloso e io gli occhi a cuoricino davanti alla spesa di formaggi che avevano fatto. Mi sono beccato il seguente presentatarm: “hops ijayo wakati unaweza smash uso wako na kuona kama unaweza kwenda kutembea tena. scoundrel, strunz, bastard, farabutt”. E se non conoscete lo swahili non è un problema mio. Studiate, gentili lettori. Sono scappato nella cuccia di emergenza, gli occhioni sgranati dal dispiacere. Solo dopo cena, il padrone ha provato la via della pace, offrendo biscottini e stimolando al gioco. Io ho risposto picche, anche quando sono stato preso in braccio e sottoposto all’obbligo delle carezze. Napoleone poteva dire “io la pace non la chiedo. La impongo”. Non quel gaglioffo.
MARTEDI’ – PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA MEDIASET PREMIUM: 8 marzo, festa della donna. Sono uscito quasi all’alba, alle 8:30, a comprare le mimose. L’onore di consegnarle è toccato a me. All’uopo, poco prima che rientrassi, Signor il papà ha
infilato il gambo del fiore all’interno del collare. Grande è stata la sorpresa della sua dolce metà alla vista di un peloso paggetto, un peloggetto. A titolo di ringraziamento, signora la mamma mi ha offerto il più gustoso dei biscottini. Il padrone, invece, si è solo preoccupato di immortalarmi. Dannata civiltà della condivisione e dei social network. A sera, avevo intenzione di celebrare degnamente Lucy, la mia fidanzata senza portafogli. Uscito, mi sono subito diretto sotto al suo portone. Non c’era. Ho sbirciato tra le persiane di casa sua. Una Tv era accesa. Degli uomini in mutandoni bianchi e blusa giallorossa stavano arando un prato verde. Ho capito che non avrei mai incontrato l’eterea bellezza: giocava la Roma, squadra di cui il di lei padrone è tifosissimo. Prima di andare via, non ho pensato di dedicare alla desaparecida senza colpa una canzone dei Beatles. Sono stato scortese. Lo ammetto. Avrebbe fatto così: “Luccccy SU SKY with diamonds”. Ah no, la Champions League la fa Mediaset Premium. 
MERCOLEDI’: TAFFERUGLI!!!!! Dall’autunno, è venuto ad abitare, proprio sopra di me, un briccone, un mascalzone, un lestofante e chi più aggettivi ne ha più ne metta. Risponde al nome di Dibby. E’ un Border Collie di circa un anno ed è un villano come pochi. Credetemi, il ticchettio frenetico dei suoi passi che, dall’alto, scende fino a casa, mi mette più angoscia delle vecchiette del Sud che cantano “O fieriiiii flagelli” durante la processione del Venerdì Santo. Si tagliasse le unghie, per Zanna bianca. Questo sedicente pastore piace anche ai miei famigliari. Non capisco perché. Ogniqualvolta lo incontrano, lo riempiono di carezze. Lui si mette a pancia all’aria per riceverle, io mi urto. Prima abbaio, poi addirittura salto addosso ai festanti e intimo loro di smetterla di dare attenzioni a quel baffone di corte. Fino a mercoledì, però, la tensione non era mai sfociata in situazioni veramente perniciose. Vigeva una sorta di tregua
armata, una neutralità sotto la cui cenere covava il fuoco dell’odio, una poderosa miccia che anche un fiammifero sarebbe stato in grado di accendere. E, infatti, in un pomeriggio che si stava trascinando nell’anonimato, è successo l’irreparabile. La porta d’ingresso di casa era rimasta aperta. Il provocatore, trovatosi a passare, se n’è accorto. E che ha fatto? Come si evince dalla foto che prego Tiziana di allegare, è entrato, ha invaso il mio territorio, mi è pure saltato addosso per fingere amicizia. Non ci ho visto più. L’ho sistemato a dovere, con un bel morso sul naso. Un colpo secco, chirurgico, che lo ha fatto piagnucolare. Se non fossero intervenuti i padroni, gli avrei fatto una allisciata di pelo che nemmeno la più abile delle tolettatrici sarebbe stata in grado di fare. Risolta la pratica condominiale, ora devo cantargliene quattro anche al pastore della Brie che vive difronte. Già l’ho minacciato una volta. Da allora, il padrone cambia strada quando lo vede. Chissà perché. Pesa solo 52 kg al garrese ed è alto 60 cm al peso.  

GIOVEDI’- E’ SEMPRE CARNEVALE: la fama porta pubblicità. Sono stato scelto, mio malgrado, come testimonial di una bottega della città che fa cappelli per cani. Ah roba da matti. Che vergogna. Un fiero e austero pastore trattato alla stregua di un chiwawa tutto lustrini, cappottini e pailettes. Poco fa, sono andato a prendere le misure del primo copricapo. Bravi sarti, dietro fornitura di biscotti, hanno registrato il perimetro del volto, il diametro del cranio, la base delle orecchie. Se avessero pure calcolato l’altezza di quest’ultime, base per altezza, prodotto diviso due e sarebbe
uscita l’area delle orecchie. Ma siccome sono a dir poco geloso dei miei padiglioni auricolari, quando il misuratore li ha sfiorati, ho urlato come Maria Callas nella Lucia di Lammenor e l’unico dato disponibile lo hanno registrato i sismografi. Si andrà, dunque, a occhio. Ho anche misurato  un cappello già confezionato. Era a fasce di colori bianco e nero. Parevo una novantenne di paese. Oh che vergogna. Se quella era una prova, figuriamoci il prodotto definitivo. Ma oggi non mi turba più di tanto la questione. Il dramma in pectore è un altro. Ho, infatti, intercettato una telefonata del padrone che mi riguardava. Ha prenotato la tolettatrice per sabato mattina. Ha paura che la settimana finirà come già era cominciata. E il raccontar non m’è dolce in questo mare.

Carmine Tedeschi

sabato 5 marzo 2016

"LA SETTIMANA INCORG": I Luppondiali affamati.

È una domenica di fine febbraio. Il sole, pallido d’alba e tiepido di un inverno che scimmiotta l’autunno, penetra a malapena tra le finestre socchiuse. Il vento di scirocco titilla sulle imposte e genera un frastuono intermittente, che non ha alcunché di melodioso. Percepisco in lontananza il latrato randagio che rimbalza tra le montagne del Matese e riconosco il passo delicato della più mattiniera zampetta di quartiere, a cui fa da contrappunto il greve rumore di una suola umana che schiaffeggia due capienti pozzanghere. Casa mia è ancora spenta.
Il padrone, stanco dopo un sabato in cui si è illuso di essere ancora un giovane ai primi calici, è così ben compresso tra le coperte e il materasso che sembra la senape in un hot dog a cinque strati di condimento. Non avrei alcuna possibilità di uscire adesso. Abbaiate vigorose e guaiti commoventi si dimostrerebbero vane speranze di scuotere quella maschera, barbuta e russante, che si culla tra le braccia di Morfeo. Poco male. Nonostante sia un cane nato tra le nebbie delle infinite pianure del Nord della Bretagna, un ruspante pastore che solo una Regina è stata capace di trasformare in elegante custode di umane greggi, un bonsai che si vede sequoia, un cavaliere wooooooffante che brama di stare all’aria aperta, rimanere qui a sonnecchiare, mentre il ticchettio di un rovescio improvviso di pioggia si unisce e mischia al suono del Maestrale, è delizioso. Penso che nemmeno Robin Hood che bussa alla porta con un sacco pieno di salsicce potrebbe farmi cambiare idea. Cosa desiderare di più, del resto? La stanza è calda, la ciotola d’acqua è piena, poggio la pancia su una coperta a fantasia “principe di Galles”, l’unica che si addice alle mie nobili origini.
E c’è un finto padrone, seppur dormiente. Anche un umano che si crogiola nel dolce far nulla è per noi, esseri fedeli, compagnia: basta il privilegio di acquattarsi in un angusto spazio della sua stanza per farci sorridere alla vita. In questo dormiveglia leggero, la mente vaga tra pensieri che non hanno alcuna capacità di collegarsi; lo sguardo punta la parete ove è appeso il calendario Corgi 2016. Vedo che oggi è 28. Ho un sussulto: esattamente due anni fa, entravo per la prima volta dentro queste quattro mura tappezzate di mensole, gadget e libri. È d’ uopo, allora, poggiare i pensieri frastagliati del primo risveglio sul comodino e aprire il cassetto dei ricordi. Il 28 febbraio 2014 era venerdì. All’ora del tè, in quel di Benevento, il padrone mi prese in braccio per la prima volta, io leccai la sua faccia. Fatto muso a muso con mamma Flavia, salutato cordialmente i colleghi di razza e gli zii umani, venni messo a fatica nel trasportino. I primi wooooooooooooooffaggi di un animale viziato e lamentoso li regalai proprio lì dentro.
Oh quanto odiai quel viaggio fino al Molise, dentro una scatola maleodorante di plastica e con le grate da carcerato. Non ho voluto entrarci mai più. Qualche giorno dopo, il padrone provò a infilarmici di nuovo, per condurmi dal veterinario. Non ci riuscì: appena mi prese in braccio, sgattaiolai come una talpa e finsi un pianto drammatico, che commosse anche la madre. Non sono state le uniche lacrime della fanciullezza, ahimè.  Fin quasi al Natale del 2014, mi sono continuamente lamentato per colpa di un’intensa otite, presa un bel po’ sottozampa. Il Luppolo camminava con la testa piegata, schivava gli spassi della fanciullezza, non si entusiasmava nella comunella con i giovani colleghi. Grazie a Lassie, una cura adeguata mi ha rimesso al mondo e una nuova vita di avventure con il mio assistente è cominciata. Le orecchie, però, sono rimaste la mia zampa d’achille. Nessun franco tiratore, sotto forma di veterinario o di tolettatrice - oh che scempio finire in una vasca di metallo e essere pettinato come l’ultimo dei barboncini – può sfiorare il simulacro delle mie sofferenze passate, altrimenti lancio un grido in falsetto che, al confronto, Bonovox che duetta con Frank Sinatra in “I have got you under my skin” pare un suonatore di piattini.
Anche i rumori cupi e improvvisi mi intorpidiscono l’animo: se dei cacciatori impallinano volatili a un tiro di schioppo dalla città, oppure “mastridifesta” delle feste patronali scatenano, al passaggio della statua del Santo, un concerto di bombe carta, metto la coda tra le gambe.  Sono proprio un paurosone, lo ammetto. Proprio ieri me la stavo facendo sotto. Erano le quindici, passeggiavo e guardavo il padrone, in attesa che declamasse la più dolce delle poesie, l’unica vera cura per le mie lunghe e setose orecchie <<eh Luppolo, giochiamo un po’?>>. Quando la odo, le zampe corrono come nuvole fino a un amplio spazio di erba alta e selvatica, che un tempo faceva da campo di calcetto del quartiere. Lì, il padrone mi toglie il guinzaglio e scaglia una palla da tennis il più lontano possibile. Io la riporto solo se mi va: restituire oggetti è un lavoro per cani da salotto, non per pastori.
Altrimenti, pur apprezzando il lancio, vado a zonzo. Ieri, su quel rettangolo malmesso di natura, c’erano due giovanotti. Armeggiavano con un telecomando e spostavano, qua e là, un oggetto simile a un grande gabbiano. Improvvisamente, uno dei due ha spinto una leva che ha fatto roteare delle eliche. Un attimo dopo, un infernale rombo ha scosso la quiete cittadina, due vecchiette hanno fatto testamento, gli stormi di rondini hanno ripreso la via di Ebbaken. Quando, infine, l’alcione dalle ali di metallo si è librato in cielo, con assoluta dignità, ho mollato la palla a terra, assunto i panni di un levriero afghano e sono scappato verso casa, vanamente inseguito e minacciato dal padrone. Ancora scosso dall’evento, è stato duro convincermi a uscire. Ieri sera, pezzetti di salsiccia sono stati le mie molliche di Pollicino fino all’ uscio di casa. Stamane, però, la paura è svanita. Non dura mai molto. È un intervallo crepuscolare in un tempo che, per la mia pelosa persona, splende di sole anche quando il vento sibila e fischia come una locomotiva a vapore sulla tratta Napoli – Portici nel 1839 e la pioggia picchia duro sul dorso, annerisce le zampe, inzuppa la testa e mi fa diventare spugnoso come un Mocio Vileda.
Non potrebbe essere altrimenti: sconfitto il malanno di cui poc’anzi narrai, ho recuperato la vitalità, l’allegria, la gioia anarchica d’affetto che contraddistingue ogni bravo cane. Del secondo anno in casa, che oggi si conclude, ho solo piacevoli ricordi di gite fuori porta, di bagni di sole, di capriole nella neve, di corse sfrenate in campagna, di tuffi nelle fresche e non proprio incontaminate acque del Volturno, di escursioni in montagna, di tafferugli con cani maschi, di corteggiamenti falliti con le sciantose del quartiere. Quante ne ho già raccontate, quante potrei raccontarne, quante ne racconterò ancora. Ma stamane non c’è più tempo. Dormicchiando dormicchiando, rammentando rammentando, si sono fatte le otto. Sto bene qui, stravaccato con le zampe a quattro di spade, ma ora non riesco più a trattenere i bisognini. La pioggia mi pare meno martellante di prima, il mite e dolce libeccio ha scansato un prepotente maestrale, quell’abbaiata lontana e stridula chissà se è della mia amata bassottina Lucy o dell’amicone di sempre Tommy. Orsù, padrone, destati, altrimenti non solo mi arrampico sul letto e wooooooooooooffo, ma ti imprimo sulla faccia una slinguazzata che risolve il problema pulizia della faccia senza passare per il lavabo.
Dai, vesti la giubba, prendi il guinzaglio e andiam, andiam, andiamo a camminar la la la la la la la la laaaaa, per prati ancora umidi, per viali che non hanno dovuto vendere il verde all’inverno, per le campagne che stanno ritrovando, in anticipo rispetto al solito, il bianco del mandorlo e della magnolia, l’arancio dell’albicocco, il rosa del pesco. Sempre se, gentile segretario che scrivi in nome e per conto mio, sono quelli gli alberi che vediamo. Tu puoi provare a fare il romantico, non certo il botanico. Finita questa breve polemica tra me e il sottoscritto, godiamoci questa passeggiata insieme, dai, facciamo pure una corsetta dove ieri osavano i droni. Non fa niente se non hai la palla, tanto non la riporto. Bene, dopo tanto marciare, sono pronto per rincasare. Un lauto pranzo è stato indetto in mio onore. Gentilmente, egregio, comunica agli astanti che oggi faccio due anni in casa. È festa, si celebrano i Luppondiali. Un antipasto di   formaggi, s’il vous plaît. Ah non me lo vuoi dare? Beh, forse non vuoi farmi appesantire, altrimenti non mangio il resto. Che languore tra i miei pensieri. Quante prelibatezze mi aspettano.
La nonna si è data da fare. Dai, a tavola. Oh come sguazzano quei cavatelli nel ragù. Due a me woooooooooooooof. Macchè. Ehi papà, guarda, un pollo. E pure le patate. A me un po’ di coscia, dai. Oh oh, sto parlando con voi. Wooooooof woooooooooof woooooooooof. Brava madre, che mi passi una patatina di sottecchi. Ecco, arriva il dolce. Dai, la crosta del cannolo. Non ha zuccheri e mi manderebbe in brodo di giuggiole. Purtroppo, è un sogno. Meglio tornare a dormire, va’. Da due anni è sempre la stessa storia, a ora di pranzo. E non è una bella storia da raccontare. L’unica, per fortuna.

Carmine Tedeschi   

venerdì 4 marzo 2016

CORGIncontro d'Autunno


Questo è il reportage dell’ultimo CORGIncontro (d’Autunno) svoltosi  vicino a Modena in un incantevole contesto all’interno di un circolo ippico.

 
 
 
 
 
 
Come sempre l’atmosfera che si crea in compagnia dei nostri pelosi e quando ci si ritrova è quella festosa e affettuosa come tra vecchi amici. L’arrivo dei corgi-amici è stato piacevolmente accolto con le bellissime shopping-bag con la stampa dei nostri meravigliosi corgini sorridenti.

 
La giornata è iniziata con un’interessante conferenza tenuta da Ugo Parenzan con la moderazione di Gianandrea Fasan. Si è parlato di educazione e addestramento e i consigli che ne sono scaturiti sono stati interessanti e importanti. Inutile sottolineare che i Corgini presenti sono stati composti e attenti per tutta la durata dell'incontro...









 
Abbiamo proseguito sbizzarrendoci in un’infinità di scatti all’aria aperta tra mille giochi e corse dei nostri pelosi che ogni tanto incuriositi dai cavalli andavano a salutarli nei loro box.








 
Il pranzo è stato favoloso!!! Ci hanno coccolati con le tipiche specialità emiliane tra le quali ad aver riscosso un successo interstellare è stata la tigella farcita. I nostri pelosi si sono educatamente accoccolati vicino alle sedie dei rispettivi bipedi e hanno atteso pazienti la fine del pranzo per poter uscire a giocare nuovamente.




 
Non poteva mancare il topico momento dell’assaggio e premiazione delle CORGI-torte. Favolose da vedere e meravigliose da assaggiare!!! Inutile dire che la gara di Corgi-dolci non mancherà MAI nei nostri incontri.


 
Al pomeriggio abbiamo fatto una rilassante e digestiva passeggiata nel bosco circostante.



 
Alla fine ci siamo salutati con un po’ di malinconia perché queste piacevoli giornate volano in men che non si dica ma con la promessa di ritrovarci di nuovo insieme alla prossima occasione. Ciao!!!
 
Chicca Rosa