venerdì 13 maggio 2016

"LA SETTIMANA INCORG" - Il Gran Premio della Montagna di Cane Luppolo

Sono un grande cane in una piccola scatola di peli, un instancabile custode delle greggi, un “peloso di fatica”. Non sono nato per ronfare. Devo stare perennemente sul chi va là, darmi da fare. Nelle ore di sole, sono come un leone della savana: non dormo mai; al massimo, riposo.
Alla sera, solo se ho prodotto, se ho reso un servizio alla comunità, solo se le gambe e la mente dolgono di lassezza emotiva e fisica, posso dormire il sonno dei giusti, di chi non è stato lavativo, di chi si è meritato la pagnotta e le crocchette. Capirete bene, quindi, che vado in brodo di giuggiole se, al vespro di queste giornate primavera, l’umano mi chiama a sé. Prendo a correre all’impazzata, circumnavigo a siderale velocità il tavolo del salone, il fragore dell’abbaiata solletica l’attenzione dei colleghi di quartiere, mi getto sul guinzaglio come l’ubriacone sul primo calice di cervogia dell’addio al celibato, irrompo in strada con la stessa passione con la quale la vamp sessantacinquenne scende in pista all’udire delle prime note dell’alligalli alligàààààààààààààààà, suonate dall’orchestra nuziale. E attendo che una palla venga scagliata nel tunnel dei garage o che quattro zampe e due piedi marcino all’unisono verso il portone dell’ amata Lucy. Invece, vengo cortesemente invitato a salire in macchina. Obbedisco in parte. La spinta verso il sedile deve darmela l’umano. Hanno detto che i cani con l’assetto ribassato non possono sforzare troppo la schiena e io mi adeguo. Attraverso vie trafficate come metropoli del Pakistan, arrivo in periferia. Scendo. Scorgo una salita dolce, da percorrere su un marciapiede che solca una distesa di alberi rigogliosi e dalla punta aguzza.
È il primo tratto di una strada lunga 3 km, zeppa di curve, erte moderate, planate leggere, rettilinei di ville imponenti e casupole fatiscenti, ubertose campagne e distese ghiaiose, che, dagli ultimi spiccioli della città, conduce a un conetto di case antiche, residenti sulla sommità di una collina. Il padrone mi invita ad affrontarlo di slancio: oltre la linea del visibile, una fontanella di pietra garantirà un fresco ristoro. Purtroppo per lui, io sono un solerte pastore. E, come tale, devo monitorare tutto ciò che solletica la mia attenzione e lasciare alle generazioni future tracce del passaggio su ogni anfratto del globo terracqueo. Così, odoro minuziosamente il territorio, scavo, sollevo la zampa posteriore e inumidisco del mio odore le erbacce, inseguo canesse come fossero le uniche rimaste sulla terra dopo il più micidiale dei cataclismi, metto in riga i maschietti che osano avanzare un’istanza di sodalizio o, ancor peggio, sfidarmi a duello. L’umano si spazientisce. <<non è che devi odorare ogni centimetro della città!>>, esclama. E mi trascina sul ciottolato. Inutilmente.
Un nuovo odore mi attira nel verde. Ci metto 15 minuti per fare un chilometro, fino allo zampillo d’acqua. Vi arrivo che ho la lingua di fuori. Sorseggio e riprendo fiato. Tre donne, di età stimabile tra i 92 e i 93 anni, chiome vaporose e di un grigio che luccica su occhi chiari e pelli di crema, vestite di colori pastello, agghindate con gioielli per facoltosi e borse di pregiata manifattura, munite di una savoir faire da belle epoque, mi passano accanto. Lo scorso anno erano in cinque. Hanno l’alfabeto moscio, la parlantina forbita, l’orgoglio di chi affronta la scure ineluttabile del tempo sorridendo all’oggi e sfidando il domani con eleganza, la memoria appena vacillante dentro una mente sufficientemente lucida. <<oh eccolo qua il più bel sgiovanotto. Finalmente sci rivediamo>>, farfugliano in coro. <<veramente, sci siamo visti già ieri, Signò>>, penso, mentre la loro leader ideologica
prosegue:<<da dove vieni, sgiovanotto?>>. Il padrone informa, una delle tre si commuove al ricordo dell’anno domini 1972, o giù di lì, quando varcò Calais e sbarcò in terra di Albione, assieme a quel “pigraccio insolente dello mio marito” che oggi l’accompagna soltanto in Chiesa, alla messa delle 7. Sento la sua mano legnosa tremare di emozione più delle altre, mentre accarezza la mia schiena. Lascio fare, fino a che non passa canessa da conoscere. Le modalità annusatorie di approccio sconcertano un po’ le signore, che accennano un “oh oh oh” di imbarazzo, prima di osservare:<<ah sgiovanotto, ma sei proprio un birbantello tu>> e andare via, dandomi appuntamento a presto, a un altro giorno in cui, non dubito, chiederanno lumi sulle mie origini. Anche la donzella non resta molto con me. Il suo dominus la trascina lontano. All’orizzonte, resta un viale di pini. Ho voglia di tornare indietro.
Insceno un sit-in solitario di protesta. Non serve. Capisco che tocca avanzare. Il padrone apprezza lo zelo. Si complimenta, dice “bravo” e allunga qualcosina da sgranocchiare. Grave errore. Dovete sapere che tra me e lui ci sono dei problemi atavici di comunicazione. In più di due anni, mi ha insegnato solo i rudimenti del comando. Il “seduto” lo faccio perché è facile, il “fermo” va a giorni alterni, il “vieni” è concesso solo se ritmato in un crescendo rossiniano di “vieni vieni vieni vieni vieni” che si conclude con una prelibatezza di primo taglio. Della parola 'bravo' non so il significato, né lo collego a una azione meritevole, a differenza della ripresa del cammino, che associo a vivande. Così, ogni cinque metri, stramazzo, risorgo e contemplo l'umana mano, in attesa che molli un biscottino o un pezzetto di mela. Non succede. Il teatrino finisce all’imbocco di un falsopiano. È il tratto maggiormente frequentato dagli sportivi. Donne magre come una quaresima, dalle linee affusolate e dai vestitini avvolgenti, volano a passo leggiadro sul marciapiede in pavè e i
vecchietti delle panchine, curvi sui loro bastoni, voltano lo sguardo e sospirano al ricordo del tempo in cui erano giovani e virili. Grondano sudore uomini agghindati con divise sgargianti, attillate, di tecnico tessuto, stirate come frac di cerimonia e le generazioni di mezzo scuotono la testa, pensando a quando lo sport si praticava con gli abiti più fuori taglia, sporchi e lacerati che si possedevano, con la sola eccezione della Lacoste di colore blu, rigorosamente stinta, in caso di donna come compagna di attività. Una famigliola si tiene per mano, il passeggino arranca, lo scolaretto corre, la bimba accelera sul triciclo, l’uomo raccoglie un ciclamino e omaggia la sua bella. Manca solo un cagnolino per dipingere un quadro domestico impeccabile. I genitori si impegnano, comunque, a insegnare alla prole l’amore per gli animali. <<accareSSa>>, invita la madre, mentre mostra alla figlia come si coccola una stufetta del gas in salsa Corgi. <<accareSSa, dai>>, seguita cuore di padre e, con decisione, tende la pargoletta mano, assieme alla sua, sulla mia groppa. <<accareSSa ‘sto casso di cane, ya>>, pensa il padrone: tra mie soste svogliate e incontri inattesi ha percorso poco meno di 2 km in 43 minuti e ha perso le calorie di una
galletta di riso integrale. La bimba risponde picche e lacrime, come ogni dì. E’ quasi sera. Un biscottino al latte mi dà la carica per le ultime, erculee fatiche, in vista del Gran Premio della Montagna. Il clima comincia a farsi frizzante, viene voglia di fasciarsi di un velo di lana e cotone. La città è lontana, si stende su un tappeto di neon e lampioni per dare il benvenuto alle stelle. Le macchine sfrecciano di conducenti che vogliono concludere la loro corsa nell’abbraccio di una cena d’affetti o nella solitudine di un paio di ciabatte, di un televisore, di una connessione veloce, di un divano. Il melodioso cinguettio dei passerotti e delle allodole lascia il posto al verso grave degli assioli e dei barbagianni, i fuochi artificiali di qualche Santo deflagrano nel ciel sidereo e trasformano la quiete muta ed errabonda dei randagi in un latrato frenetico alla luna. Abbaia senza soste, e tossisce di raucedine, anche il cotonato bastardino di un giardino accanto al quale mi è vietato sostare. Si racconta che i suoi padroni accusino i passanti, di guinzaglio muniti, di stimolare la sua bestiola ad abbaiare, con conseguente, irreparabile danno alle corde vocali, e minacciano le vie legali. Non woooooooooooooffa mai, né ha bisogno di
atteggiarsi a bizzosa borgatara, invece, Uma. E’ una quattro zampe dal vello striato di bianco e di nero, dall’andatura solenne, dagli occhi turchini, dallo sguardo di ghiaccio, fulminante, capace di intimorire chiunque osi avvicinarsi senza la doverosa deferenza verso un esemplare di notevole spessore, verso un Akita Inu, verso un prediletto dell’Imperatore del Sol Levante. Lei accetta di buon grado la comunella con me, cane dei Windsor, della monarchia di Albione, per questioni di nobiltà, di alto lignaggio, che voi plebei non potete comprendere. Con l’umiltà di un grimpeur gregario e con il senso del dovere di un Samurai, mi incita allo sforzo finale, sino alla vetta. Io, in cambio, le offro metà dell’ultimo biscotto a disposizione, a mo’ di borraccia di Coppi e Bartali sul Galibier. Solo che Uma ha una apertura di fauci che par di coccodrillo e un’esuberanza gioiosa di cane amato dal suo barbuto umano, col quale condivide ogni attimo di vita. Prima ancora che il padrone riesca a dividerla, si è già pappata tutta la colazione al sacco. Resto senza spuntino. Non ho più nulla da mangiare. Le ultime stille di energia svaniscono. Il cammino fino alla vetta è un pellegrinaggio di dolore, una via crucis, un supplizio, un lento trascinarsi per metri che paiono
chilometri, per campagne mature della bella stagione che sembrano di colpo paesaggi lunari, per polmoni frondosi d’aria pura e resina che accorciano il respiro e mi incollano al terreno. Al traguardo, non ho nemmeno la forza di ringraziare la Giapponese. Il padrone, invece, ha paura. Teme non ce la farò a tornare indietro. Invece, oh qual miracolo, in un amen recupero l’ancestrale vigore, saltello come un chicco di grano in una casseruola colma d’olio d’arachidi, sgattaiolo e sculetto che sembro una lucertola, fino alla macchina. A casa, mi nutro avidamente e ammicco alla tavola imbandita, aggredisco un fantoccio che suona, torno a governare il quartiere dal terrazzino, fino a che non cala la notte. Qualcuno può gentilmente spiegare al padrone che camminare senza un fine, per il solo gusto di sgranchire le gambe, alla guisa di un gagà, non è di mio gradimento e che preferisco rimanere a casa, a riposare come un leone, in attesa di attività che più si confanno a un cane pastore, a un nobile custode delle greggi? 


Carmine Tedeschi

venerdì 6 maggio 2016

3° CORGIncontro in Fattoria - 12 Giugno 2016

Eccoci con l'atteso programma della giornata del nostro “CORGIncontro in Fattoria” che si terrà a Padova il 12 Giugno 2016 nel suggestivo e bellissimo contesto della Fattoria Didattica Lungargine di Michela Pesavento.
La giornata si svolgerà come sempre con un programma ricco di avvenimenti che vedrà anzitutto l'emozionante ritrovo nel piazzale della Fattoria dei numerosi e baldanzosi corgini e corgisti.
Inizieremo con l'esposizione delle foto partecipanti al concorso che avrà per tema “Il Corgi che sorride”, dove vedremo immortalati i nostri meravigliosi corgini nella tipica e inconfondibile espressione di felicità che i pelosi riescono ad avere.
Poi avremo modo di seguire il momento didattico con Gianandrea Fasan (All.to Corgilandia), che avrà come filo conduttore il tema “Essere Corgi”, il quale ci condurrà tra le pieghe intricate ma affascinanti del carattere e della personalità complessa ma eccezionale dei Corgi.
Immancabile l'apprezzato ed elegante buffet appositamente studiato e creato da Olivia Arena (servizio catering La Mandolina) che ci verrà servito nel meraviglioso parco secolare di Villa Pesavento dove i nostri corgini saranno liberi di giocare e divertirsi tra loro.
Dopo il pranzo verranno ammirati, assaggiati e premiati i Corgidolci più belli e buoni creati dalle corghesche manine dei/delle corgisti/e partecipanti e verrà decretato il “Corgimasterchef di Corgidolci” di questa edizione.
Seguirà l'importante momento che immortalerà questa bellissima giornata... il momento delle foto!
E poi, dopo un'energetica dose di caffeina, inizieremo le attività della giornata!
Quest'anno per la prima volta proveremo la “Corsa dei Corgi”. Si tratterà di un percorso che i Corgini più arditi dovranno compiere per raggiungere il loro bipede nel minor tempo possibile e senza indugi. Creeremo per l'occasione bandane con colore e numero personalizzato per ogni coppia bipede-peloso.
Inoltre, ci sarà l'opportunità di provare i nostri corgini nella disciplina dell'Agility aiutati da esperti e per finire, ma tutt'altro che ultimo, l'atteso momento di vedere i bravissimi corgi cimentarsi nello Sheep-dog, disciplina nella quale risultano avere ottima predisposizione con il raggiungimento di buonissimi risultati. Saranno aiutati in tutto questo dai bravissimi e disponibili Fabrizio e Alessandro Arena.
Alcune precisazioni in merito a questa meravigliosa giornata che ci attende:
- Il costo della giornata comprensivo di coffe break e pranzo buffet è di euro 28,00;
- I bimbi al di sotto dei 10 anni non pagano;
- I Corgi nemmeno;
- I Corgini con carattere irruento dovranno essere opportunamente accuditi e le Corgine nel periodo dell'estro sarebbe meglio non farle partecipare per non creare tensioni tra i pelosi partecipanti:
- Per chi avesse necessità o piacere di pernottare in zona contattateci all'indirizzo mail corgincontro@libero.it e vi daremo tutte le info necessarie.
A presto!!!

Chicca Rosa