domenica 31 gennaio 2016

Il Ricciolino che cercava i Tartufi

di Carmine Tedeschi 
 


Io e la mamma, figlio mio, siamo cresciuti in questo quartiere ove oggi abitiamo e festeggiamo il Natale. Qui, a scuola, ci siamo conosciuti; qui, siamo diventati uomini; lì, nel parco ove più tardi andrai a giocare con gli amichetti, in un freddo giorno di gennaio, abbiamo capito che eravamo fatti per vivere insieme, per creare una famiglia.

Mi raccontava la nonna che, quando ero fanciullo come te, trent’ anni fa, il quartiere non era come lo vedi oggi, centro nevralgico della città. Era, al contrario, un ammasso di palazzine in costruzione, circondato da terreni acquitrinosi e pochi spazi verdi che qualcuno, senza chiedere il permesso alle autorità, coltivava e rendeva floridi. Si conoscevano tutti, in quel fazzoletto di case. Quando la neve – allora ne cadeva tanta – mollava la presa e le luci della primavera facevano capolino, sembrava di stare nel piccolo borgo ove abbiamo trascorso le vacanze d’agosto: fino a tarda sera, le strade si popolavano di passeggiatori e di vecchiette che bruciavano i loro giorni spettegolando, mentre i ragazzi adibivano pietre a pali di una porta e giocavano a pallone, fino a che le madri non suonavano la campanella della buonanotte. Anche io, figlio mio, andavo a scuola, come presto farai tu.
A far compagnia agli umani, c’erano tanti amici a quattro zampe. La celebrità del quartiere si chiamava Pilsner. Era un pastore gallese. Aveva volto da cane mastodontico in un corpo lungo e compatto, zampe minuscole e ossute, folto manto setoso che attraeva fango e polvere, coda simile a quella di una volpe. Lo chiamavano “il cane fisarmonica”. Era il più amato dai bambini perché, oltre ad essere tutto tranne che un fiero e impavido custode delle greggi, si divertiva a inseguire chiunque vedesse correre, per mordicchiargli le caviglie: forse, le scambiava per garretti di mucche. I fanciulli, sapendo di questa sua caratteristica bizzarra, gli gridavano: <<Corri Pilsner>>, e partivano a razzo. Il pastore tarchiato, allora, rizzava la coda e cominciava a mulinare sulle corte zampe finché, testardo com’era, non raggiungeva la “preda”. Puntualmente, rincasava con la lingua a penzoloni. Non se ne doleva. Era felice così.

Grande amica di Pilsner era l’incantevole bassottina Tatù. Tutti i cani, di qualsiasi taglia, le facevano il filo. Lei, però, altezzosa come sa esserlo solo una donna consapevole di piacere, non si curava dei corteggiatori, anzi sovente li liquidava con fare sbrigativo. Era scontrosetta, figlio mio. Accettava attenzioni solo da Pilsner e carezze esclusivamente dai bambini, che spesso uscivano di casa con biscottini da offrirle.
Il re della borgata era il meticcio Rex. Era un esemplare dal pelo biondo, di grossa taglia, di costituzione forte e robusta, con zampe molto elastiche, che gli consentivano di spiccare lunghi salti, nonostante non fosse più giovanissimo. Lo sguardo, corrucciato e incattivito da mustacci ormai bianchi, gli donava un’aurea solenne, da vecchio saggio. Non amava molti i suoi simili, in ragione del fatto che aveva vissuto, fino al primo anno di età, l’esperienza di un canile sporco e fatiscente. Dal grande giardino ove viveva, passava la maggior parte del tempo a osservare, in maniera ormai disincantata, la realtà che lo circondava. Nessuno poteva permettersi di disturbarlo. Gli bastava una woooooooooooooooffata per impressionare chiunque osasse stuzzicarlo.

Un giorno d’estate, però, Rex non aveva ringhiato ad un collega, passato a pochi metri da lui. Era un cane di taglia media, di colore caffè, con venature di grigio sul dorso. Somigliava a un Lagotto. Presentava pelo riccioluto e molto arruffato: purtroppo, non aveva nessuno che, alla sera, si preoccupasse di pettinarglielo. Camminava spaesato per il quartiere, il grigio quadrupede, con lo sguardo cogitabondo, dolce per nascita, ma afflitto da una esistenza magra, solitaria, senza un tetto, affamata e anche un po’ invidiosa dei simili lindi, panciuti, portati al guinzaglio da padroni fieri di avere un amico fedele accanto; in una sola parola: amati. Purtroppo, era un povero randagio. Rex lo aveva capito: anche lui aveva vissuto il dramma della solitudine, prima di incontrare un angelo con la barba.
Tutti, nel rione, si erano accorti della presenza, discreta, del ricciolino. Un bambino gli aveva dato pure un nome: Pallino. Provavano pena per lui gli amanti dei cani e si prodigavano per assicurargli una ciotola d’acqua e un pugno di croccantini.
I suoi simili fortunati, invece, quando lo vedevano, alzavano la coda e la muovevano freneticamente, per manifestare intenzioni giammai bellicose. Purtroppo, ogni tentativo di approccio risultava vano. Pallino sgattaiolava via da chiunque, impaurito, terrorizzato. Preferiva cercare il cibo tra i cassonetti dell’immondizia, bere l’acqua piovana e dei limacci. La sua diffidenza aveva, ahimè, una valida giustificazione. Si seppe, infatti, non si sa bene da qual fonte, che il ricciolino era stato, fino alla primavera, un cane come tanti, vissuto in una casa di campagna, con una grande cuccia per ripararsi dalle intemperie e ciotole sempre piene d’ acqua e cibi freschi, avanzati agli umani. A conferma del suo sangue di lagotto, si seppe anche che aveva una abilità speciale: era, infatti, un eccezionale cercatore di tartufo, tubero del quale la nostra regione è piena. Per tre anni, forse più, aveva speso il tempo suo primo fiutando, scavando, estraendo prelibatezze, poi rivendute a peso d’oro. Un giorno, purtroppo, il padrone si era scocciato, sia di andare per boschi, sia del peloso. Così, lo aveva lasciato libero al suo destino, lo aveva abbandonato per strada. Amore di facciata, amore bieco, amore finto, interessato.
Imparerai, figlio mio, che di affetti veri è quasi privo il mondo; scoprirai che anche chi, come un cane, dona amore sincero, privo di malizia, imperituro, più forte del sentimento che prova verso sé stesso, può essere abbandonato, senza un perché. Basta fare una passeggiata per accorgerti di quanti Pallino moderni ci sono in giro, di quanti sventurati, prima coccolati, poi diventati esseri ripugnanti per umani egoisti, che magari corrono dietro alla moda del cane, che, quando ne adottano uno, credono sia un pupazzo senza esigenze, senza personalità, un fantoccio da ostentare al guinzaglio, fatto solo per dare la zampa, scodinzolare, e non per essere il più fedele dei compagni, meritevole sì di affetto, ma anche di attenzioni e tanto, tanto impegno.

Ripugnante era diventato Pallino, per la sua vecchia casa. Fin troppo. Pensa che gli angeli di strada, che ancora oggi si impegnano per salvare animali abbandonati, avevano addirittura suggerito di non denunciare il padrone alle pubbliche autorità, perché altrimenti l’uomo non avrebbe esitato ad uccidere chi, per anni, lo aveva arricchito, grazie al fiuto. Come poteva, allora, quel povero animale, non avere timore delle persone? Come poteva pensare che ci fossero tanti uomini di buon cuore, disposti ad aiutarlo? Per fortuna, c’erano, eccome se c’erano, nel quartiere. Uno di essi aveva circa sessant’anni. Si trattava di un tipo guascone, sempre pronto allo scherzo, molto espansivo, estremamente chiacchierone, abbastanza sboccato nelle espressioni. Era alto, di mole imponente.
Aveva le gote rubizze, tipiche di chi non disdegna il buon vino di casa. Bastava un attimo di conoscenza per capire che ci si trovasse al cospetto di un uomo tanto bonario quanto rude, del quale aver paura anche di porgere le mani in segno di saluto, per come poteva stringerle.  Ai cani, piuttosto che carezze, dava sonori buffetti. Anche il gigante Rex non poteva fare alcunché, quando assaggiava la sua vigoria. Nonostante ciò, i quattro zampe capivano quanto di buono ci fosse nel suo animo: quando lo vedevano, non esitavano a corrergli incontro, per ricevere la meritata dose di schiaffoni. Anche i padroni notavano l’appeal che aveva sugli animali; sovente, gli domandavano perché non adottasse un amico. Oh, quanto, in cuor suo, avrebbe voluto. Ma non ce la faceva. Il perché della ritrosia lo sapevano in pochi. Il nonno, suo buon amico e compagno di bicchierate serali nell’unico bar che allora c’era, sì. L’omone era stato un infinito amante dei cani. Ne aveva avuti, sosteneva, circa 30 nella sua vita, tutti di grossa stazza. Tranne l’ultimo: un minuscolo volpino. Forse per le sue dimensioni ridotte, che lo facevano apparire indifeso, lo aveva amato più di ogni altro. Dal momento in cui Bob, così si chiamava, gli era morto tra le braccia, dopo mesi di sofferenze, aveva deciso di non adottarne più. Ma, scoprirai, figlio mio, che chi ama gli animali ha sempre un posticino nel cuore riservato a loro. Seppur non presenti fisicamente, seppur lontani, non li sente mai distanti. Nel momento in cui ne vede uno in difficoltà, deve mettersi al suo servizio.
Un aiuto, quindi, il burbero signore si sentiva in dovere di darlo a Pallino che, intanto, con la forte calura di luglio, era diventato ancora più rinsecchito, emaciato, sofferente, a causa di una fastidiosa ferita sulla zampa destra, che lo faceva zoppicare vistosamente.  Ogni giorno, allora, al vespro, l’uomo lasciava, all’ingresso dello stabile ove abitava, due ciotole: una di acqua, una di cibo. Nel silenzio delle tenebre, Pallino passava e ne approfittava avidamente e velocemente, per paura di doverle dividere con altri randagi, ben più scaltri e grintosi di lui.

Una sera di fine agosto, il ricciolino, forse più affamato del solito, si avvicinò allo spuntino già al tramonto. Il colosso buono, trovatosi lì per caso, ne approfittò per poggiare una mano sul dorso del randagio. Questi, dopo un attimo di paura, forse per salvaguardare il pasto, forse perché aveva sentito finalmente una mano amica, lo lasciò fare. Qualche sera dopo, la scena si ripetette.
L’estate era al canto del cigno. Pallino, grazie alla gentilezza del gigante, si era un po’ ripreso, aveva recuperato le forze, il suo volto pareva meno afflitto. Si era anche scelto una cuccia: un angusto spazio tra due colonne portanti del palazzo in cui viveva il suo benefattore.  Questi, in settembre, andava sempre in campagna: agli albori dell’autunno, il clima si fa più fresco e la terra necessita di cure preventive, per non soccombere sotto al peso del gelo. Si destava all’alba per raggiungerla.

Un mattino che già profumava di rugiada, Pallino stava dormendo. Percepita la presenza amica, decise di alzarsi sulle zampe e seguirla, fino a un grande fuoristrada. La gentilezza fu ripagata da una carezza. La stessa cose accadde nei due giorni successivi. Infine, in un mattino di pioggia, il ricciolino decise di passare all’azione: attese il momento giusto e, con un balzo, entrò nell’abitacolo. Si nascose dietro al sedile del guidatore. Resistette acquattato, respirando lentamente per non farsi sentire, fino a che non si aprì la portiera, fino a che non poté lanciarsi tra i campi e nella fitta vegetazione, finalmente libero, come quando cercava i tartufi, finalmente felice.
Sai che successe, figlio mio? Che, quel giorno, l’uomo rude dal cuore morbido capì che fosse finalmente tempo di dimenticare il suo amato volpino e dare il benvenuto al nuovo amico. Pallino finì in una vasca e finalmente riscoprì il piacere di un bagno caldo, dopo mesi trascorsi sotto la pioggia. Il suo pelo tornò lindo, setoso, i nodi sotto la pancia e dietro le orecchie si dissolsero, l’odore di lavanda sostituì il fetore della strada e dell’immondizia, il tepore di un gran tappeto conciliò il suo primo sonno nella nuova casa. Nei giorni successivi, il ricciolino fu munito di un documento di riconoscimento, venne curato dal miglior veterinario della città, ricevette in dono un robusto guinzaglio di pelle, imparò a camminare di fianco al padrone, riassaporò di nuovo il piacere di scavare nei boschi, conobbe Pilsner, corteggiò vanamente la fidanzatina Tatù, si beccò, finalmente, una ringhiata da Rex.
I due vissero insieme, nell’appartamento di città, fino a quando, ormai troppo vecchio e stanco, con la moglie volata via, il benefattore non decise di trasferirsi in campagna, ove il legame con il cane si era fortificato e ove il figlio, sposatosi, aveva costruito una grande casa.

Nonostante fossi già nato ai tempi di questa storia, non lo ricordo quell’uomo buono, né ricordo il cane riccioluto che sapeva cercare tartufi. Sono passati tanti anni da allora. Probabilmente, né il vecchio né Pallino ci sono più. Ma voglio credere e sperare che i due abbiano trascorso gli ultimi anni della loro vita insieme, legati l’uno all’altro, a insegnare, a un fantolino come te, quanto l’amicizia di un cane, di un animale in genere, faccia crescere un uomo migliore, insegni cosa sia l’amore, quello disinteressato, quello che non ti chiede nulla in cambio, quello non di facciata, quello che non risente delle insidie del tempo e della vita di ogni giorno…quello vero.
Buon Natale, figlio mio

(25 dicembre 2014)

Tratto dalla Raccolta “The Canluppoly Tales” di Carmine Tedeschi
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/racconti/218598/the-canluppoly-tales-5/:

venerdì 29 gennaio 2016

2^ CORGIncontro in Fattoria


Questo è stato il nostro secondo importante CORGIncontro che si è svolto nella Fattoria Didattica Lungargine di Michela e Fabrizio a Padova il giorno Domenica 24 Maggio 2015.

Il tempo ci ha regalato una splendida giornata, soleggiata e calda all’interno di un periodo non sempre clemente.
 

Il ritrovo a inizio giornata è stato davvero gioioso non solo per la moltitudine di Corgini che si sono riversati in fattoria ma anche perché ci siamo incontrati nuovamente con Corgi-amici conosciuti negli incontri precedenti.



Tanta tenerezza per i bimbi arrivati in compagnia dei loro inseparabili pelosi che si sono ambientati in men che non si dica…



 
All’arrivo in Fattoria abbiamo raccolto le foto in gara per il concorso dal titolo “Corgi incontri…” (non poteva essere altrimenti!) e Michela con molta pazienza le ha “stese” tutte insieme per poter essere viste e votate da tutti partecipanti.



L’incontro a tema quest’anno toccava un argomento che interessa tutti moltissimo, l’alimentazione. Si è parlato di mangimi e di cibi freschi con allevatori esperti che come sempre hanno messo a disposizione di tutti le loro conoscenze ed esperienze. Anche la piccola Ambra sembra interessata...



 
Prima del pranzo momenti di libertà per i nostri pelosi che assorbendo la gioia che pervadeva l’aria correvano felici in ogni direzione senza pericolo alcuno visto lo stupendo parco secolare che ci raccoglieva al suo interno.



 



Il buffet organizzato per l’occasione è stato assolutamente all’altezza di tutto il resto… FAVOLOSO! Ognuno di noi ha trovato un proprio spazio dove mangiare e rilassarsi e anche la nostra Corgi-reporter, Ambra, approfitta per riposarsi un attimo.










Dopo il pranzo abbiamo assaggiato e premiato i bellissimi e buonissimi Corgi-dolci preparati con tanto amore da pasticcere bravissime!



Non poteva mancare il foto-time che devo dire, secondo il mio parere, essere uno dei momenti più divertenti della giornata: non è facile mettere insieme tanti Corgini con altrettante persone e le facce e le pose dei due e quattro zampe a volte sono davvero esilaranti!

Nel secondo pomeriggio abbiamo dedicato un po’ di tempo allo sheep-dog disciplina sportiva nella quale i Corgi sono davvero bravi e attenti.
 
 
Chicca Rosa