Il
padrone doveva lavorare anche di domenica. La sua agenda segnava
l’impegno più importante tra le 12:30 e le 14.30, fetta di giorno
in cui, stranamente, giocava anche la Juventus. Non poteva, quindi,
stare con me. Quanto è stato triste vivere il dramma dell’abbandono,
palpare la solitudine più nera. Il turbamento emotivo l’ho
esternato, attraverso contestazioni di gioia, lacrime di tripudio,
coda mossa a mo’ di sismografo per dire “no, così non si fa”,
nel momento in cui, salito in macchina, Signori i genitori hanno
annunziato, urbi et Corgi, la partenza per Capracotta.
Capracotta
è un borgo di 1300 anime, arroccato tra le vette del Matese. Durante
la stagione invernale, è uno dei luoghi del globo terracqueo
maggiormente esposti alla furia degli elementi. Pensate, lo scorso
marzo, potrebbe aver battuto il record di nevicata più intensa della
storia, sottraendolo a una località americana: 256 centimetri in 24
ore. Il primato, purtroppo, non è stato omologato perché mancava un
nivometro sul territorio. Eh stranezze di una località sciistica del
centrosud.La
“semprebianca” Capracotta rappresenta un piccolo angolo di
paradiso per me: dovete sapere che, quando la neve cade dal cielo in
maniera tanto intensa da rendere croccante il suolo sotto le zampe,
dimentico di essere “lazy” e corro a perdizampa, faccio capriole,
saltello, fino a sprofondare dentro un cumulo troppo alto per un cane
dall’ assetto ribassato. La sterminata valle che frana dolcemente
dal paese, inoltre, rinvigorisce la mia natura di pastore, grazie ai
tanti animali che vi pascolano liberamente su e che posso inseguire,
libero dai vincoli cittadini del guinzaglio. Dal bestiame, gli
abitanti del borgo ricavano salumi pregiati e formaggi raffinati.Domenica, i genitori ne hanno acquistati in grande quantità.
Immaginate, quindi, quali odori soavi provenivano dalla tavola,
apparecchiata per il pranzo del dì di festa e mancante del padrone.
Ho rivendicato il diritto di assaggiare qualcosa, poggiando
dolcemente il muso sulla gamba di Signora la mamma. Lei si è girata
verso di me, io ho fatto gli occhioni. Pochi attimi e il lievemente
piccante di un triangolo di caciocavallo ha solleticato i baffi e il
tartufo, danzato sulle labbra, accarezzato la gola. Non contento, mi
sono arrampicato sulle ginocchia di Signor il papà. Ho prima
abbaiato vigorosamente, poi pianto come Mario Merola al cospetto del
figlio Contadino Zapppatoooooooooooore scappato in America. Una mezza
salsiccia ha chetato la mia furia. Un trancio di ricotta, infine, mi
ha condotto al sonno della
beatitudine. Alla sera, ho sgranocchiato
per sommi capi: ero sufficientemente sazio e stanco. Mi sono
ridestato alle 7 del mattino. Il pranzo l’ha servito la Signora.
Mi ha soddisfatto: sapeva ancora d’altitudine.“Che
pasti soavi, che pietanze, che sapori, o Capracotta mia. Quale allora
ci apparia la vita umana e il cucinato. Quando sovviemmi di cotante
cene, una crocchetta mi preme, acerba e sconsolata. E tornarmi a
doler di mia sventura"Inebriato
ancora com’ero degli odori e dai sapori della natura incontaminata,
a ora di cena tutto avrei voluto tranne che vedere la ciotola verde
pisello tornare a riempirsi soltanto di croccantini. Erano lì, in
tutto il loro splendore, pardon fetore, a ricordarmi che la felicità
è come un calice della miglior bottiglia di vino della cantina,
servita in una cena di 5 ubriaconi: dura solo due sorsi di vita,
prima di rimescolarsi e riassorbirsi nell’aceto dell’esistenza.
Quel cane di padrone non si è degnato di condividere alcunché del
suo pasto pantagruelico. Lo stesso ha fatto il giorno dopo. Che
rabbia, che cattiveria, che insulto alla dignità di una pelosa
persona. BAH(rf). Sbuffavo ancora, agli inizi dell’ultima
passeggiata giornaliera, fissata per contratto alle ore 21.
Mentre
passavo sotto un portone, si è alzato un venticello di tramontana. È
bastato per convogliare un po’ del suo odore verso di me. Era lei,
la mia Woody, la bassottina tedesca eletta a frequentantessa senza
portafogli, la vispa baffuta che mi fa venire le farfalle alle cime
di rapa e pancetta allo stomaco. Mulinando affannosamente sulle corte
zampe, l’ho raggiunta. <<I miei woooooooooffaggi, egregia>>
le ho detto, guardandola negli occhi. Lei è arrossita. Ho allungato
la zampa destra sul suo dorso riccioluto. Lei si è tirata indietro.
Ma era il tipico movimento difensivo che una donna volutamente fa per
costringere l’uomo a un abbraccio più forte, più seducente,
definitivo, che la obbligherà a lasciarsi andare. Io, però, mi sa
che ho stretto troppo. Lei non ha gradito. Ci ho riprovato. Invano.
Woody, stizzita, ha preso la via di casa. Io ho fatto lo stesso.
Comunque felice. La sera successiva lei avrebbe capitolato. Ne ero
certo. Di mercoledì, ho atteso che si facesse buio sull’amplio
terrazzo da cui monitoro tutto ciò che accade nel quartiere. Al
tramonto, ho cominciato a fremere: la Fanfara di Venere stava
suonando. Aspettavo il gioco dei pacchi pre-uscita con la stessa
ansia con la quale un cercatore seriale di asparagi attende la
seconda quindicina di marzo. Purtroppo, non so se qualcuno si è
portato a casa o meno il malloppo. Non sono affari miei. Ben prima
dell’inizio del programma, infatti, il padrone ha preso il
guinzaglio. Oh qual gentilezza! Una passeggiata in più.
Stranamente, fuori c’erano tanti colleghi che solitamente incontro
in tarda serata. Il motivo l’ho capito al rientro:
incombeva
l’oppio dell’italico popolo; stava iniziando il turno
infrasettimanale di campionato e il broccardo “pacta sunt
servanda” cedeva al cospetto di un interesse superiore.
Ciononostante, arrivata l’ora X, ho rivendicato i miei diritti
abbaiando, correndo per casa, frignando, arrampicandomi sul mobile
ove giace il guinzaglio. Invano. La proposta transattiva di scendere
per una “pisciatella e fuga” all’intervallo tra il primo e il
secondo tempo l’ho rifiutata. Non era soddisfacente. Mentre in casa
risuonavano urla barbariche di tifosi esultanti, orribili favelle
verso le giacchette un tempo nere, insulti al parentame degli
avversari dei bianconeri, ho atteso, con dignità, il sonno, accanto
al balcone, nella speranza di vedere passare, lungo la strada
illuminata a giorno dai lampioni, lei, l’eterea bellezza dalle
corte zampe, condotta al guinzaglio dal padrone tifoso della Roma,
che aveva giocato di martedì. Non è accaduto. Chissà se la
incontrerò stasera. “il vero amore è come una finestra
illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesa”
(G. Ungaretti)
Carmine
Tedeschi
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